Roma, 9 dic. (askanews) – Tra i perdenti nel teatro siriano, c’è la Cina, che aveva legami stretti con il regime di Bashar al Assad, resi particolarmente massicci dopo la visita di un anno fa a Pechino di Assad, che allora incontrò anche il leader cinese Xi Jinping nella sua prima visita di stato all’estero dal 2004.
Cina e Russia, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, hanno ripetutamente posto il veto alle risoluzioni che proponevano sanzioni contro Assad durante la decennale guerra civile in Siria. Tuttavia, a differenza di Russia e Iran, Pechino non si è impegnata direttamente con proprie truppe nel conflitto.
Jean-Loup Samaan, ricercatore presso il Middle East Institute dell’Università nazionale di Singapore, ha detto al South China Morning Post che HTS non sarà ostile verso la Cina, tuttavia, il futuro delle relazioni dipenderà dal tipo di transizione e dal nuovo regime che emergerà a Damasco.
Si tratta tuttavia di investimenti in prospettiva. Pechino ha limitato, finora, le poste sia per l’insicurezza della situazione siriana, sia per le sanzioni statunitensi che rendeva complesso investire in Siria. Parliamo di poste di poste centinaia di migliaia di euro realizzate finora.
La Cina è preoccupata per le ricadute del ritorno in auge del movimento islamista radicale, specialmente quelle possibilità nella regione autonoma dello Xinjiang, dove un’importante minoranza turcofona, gli uiguri, rappresenta una sfida di sicurezza. Peraltro, migliaia di uiguri sono stati segnalati come combattenti in Siria dal 2013 e, dopo la vittoria islamista, potrebbero decidere di tornare nella Cina occidentale.