Roma, 31 dic. (askanews) – (di Pierluigi Allotti) Salvatore Foti, 51 anni, originario di Catania, vive in Ecuador dal 1995. Docente universitario, è presidente del Comites Ecuador. I Comites – Comitati per gli italiani all’estero – sono organi rappresentativi elettivi che si possono costituire per legge nelle circoscrizioni consolari con oltre 3 mila italiani iscritti all’AIRE (Anagrafe degli italiani all’estero). Askanews ha incontrato Foti.
“Io sono arrivato qui in Ecuador nel 1995, per caso. Nel senso che quando si è giovani si viaggia senza una meta precisa. Qui ho conosciuto la donna che sarebbe diventata mia moglie e mi sono fermato. Nel 2025 saranno 30 anni che vivo qui. Io sono professore, ho cominciato insegnando italiano agli stranieri. In ho fatto il liceo classico. In Italia ho iniziato poi giurisprudenza ma non l’ho finita. Quando sono venuto qui mi sono laureato. Poi ho fatto un master negli Stati Uniti in Governo e comunicazione politica, e attualmente sto facendo un dottorato di ricerca a Madrid. Nello specifico mi occupo delle campagne elettorali sui social media, di come i social media influenzano le decisioni di voto degli elettori. Ho anche una piccola colonna mia su un giornale locale, dove commento la politica – prima o poi mi linciano (sorride) – e attualmente sono presidente del Comites. Sono stato anche presidente della Società Dante Alighieri, quindi più o meno la realtà locale la conosco”.
“Nel Paese ci sono ad oggi quasi 30 mila italiani: 26 mila sicuri, ai quali si sono aggiunti gli italo-venezuelani fuggiti dal Venezuela. È una comunità di tutto rispetto, se pensiamo ad esempio che in Messico, con un territorio vastissimo, gli italiani sono circa 50 mila. È inoltre una comunità dinamica. Molti degli italiani venuti qui sono diventati imprenditori. I nostri connazionali hanno costruito istituzioni in epoche remote che ancora oggi esistono. A Guayaquil, nella regione costiera affacciata sul Pacifico, c’è la Società di assistenza italiana Giuseppe Garibaldi, che ha più di 140 anni di storia. Aiutava gli italiani in difficoltà. La maggior parte degli italiani sta a Guayaquil. Io invece vivo a Quito, nella capitale, a 2.800 metri sul livello del mare”.
“Il nostro è un lavoro molto pratico. L’Ecuador è un paese difficile, con un alto tasso di criminalità. Ogni giorno ci sono omicidi e sequestri di persona. Muoversi non è sicuro. Noi membri del Comites – siamo in 12 – facciamo questo lavoro praticamente gratis. L’anno scorso abbiamo ricevuto in totale 13 mila euro, poco più di mille euro al mese. Avremmo bisogno di più sostegno da parte delle autorità italiane, soprattutto in realtà pericolose come questa. Io ad esempio nei prossimi giorni devo andare a Guayaquil a incontrare i rappresentanti della comunità italiana e incomincio ad avere paura negli spostamenti. Anche mia moglie non è tranquilla. Forse l’intero sistema dei Comites andrebbe ripensato e razionalizzato”.
Credi che gli italiani all’estero siano una risorsa per l’Italia?
“Lo dico francamente: a me non piace il sistema degli italiani all’estero. È strutturato burocraticamente male. Va riformato. Innanzitutto bisogna stabilire se gli italiani all’estero sono una risorsa o un problema. Penso che comincino a essere un problema, perché non si possono gestire. Siamo troppi. Ma se invece sono un risorsa allora bisogna stabilire chi sono questi italiani all’estero. Dei 25 mila e passa italiani presenti in Ecuador in molti non hanno più neanche il cognome italiano e non parlano la lingua. Ci sono italo discendenti di terza o quarta generazione che non sanno nulla dell’Italia ma richiedono la cittadinanza per ius sanguinis solo per ottenere il passaporto italiano, che consente di viaggiare più agevolmente, ma non hanno alcun interesse concreto verso il nostro Paese. Dobbiamo stabilire – ribadisco – chi sono gli italiani all’estero, se sono una risorsa o un problema, e poi fare una politica più seria. Noi siamo impreparati. Il sistema italiano, rispetto agli italiani all’estero, è impreparato. Non siamo presi seriamente. Si dà per scontato che ci sono gli italiani all’estero, che in Italia ci vogliono bene, ma gli italiani all’estero oltre a essere una risorsa vanno anche gestiti”.
“I Comites vanno riformati. Vanno ridotti e devono contare di più. Il Comites dovrebbe diventare come una giunta comunale e il presidente come una sorta di sindaco; e non composto da 12 membri perché 12 è un numero pari. Dovrebbero avere un po’ più di autorità quando parlano con Roma. L’amministrazione centrale dovrebbe occuparsi dei problemi macro delle comunità, mentre noi dovremmo dedicarci alla quotidianità, alla prima assistenza”.
“L’Ecuador, ripeto, è un Paese difficile. Il 9 febbraio si svolgeranno le elezioni generali e il presidente Daniel Noboa – la cui moglie peraltro è di origini italiane – si ripresenta. È appena terminata una dura una protesta degli indigeni locali, che si sono opposti alla costruzione di un maxi carcere sul loro territorio. Alla fine l’hanno spuntata ma ci sono stati violenti scontri con l’esercito. Ci sono inoltre problemi energetici. Per un periodo siamo stati senza elettricità anche per 14 ore al giorno. È un paese in grandissima difficoltà, nonostante sia un paese ricco perché ha il petrolio e le banane. Il presidente Noboa è l’uomo più ricco del paese, vende banane e ha una produzione di gamberi, ma l’Ecuador è in crisi”.