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giovedì, Novembre 21, 2024
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AI PRIMI SINTOMI -Un modo per iniziare a curare il Covid a casa 

Appena si avvertono i primissimi sintomi – come tosse, febbre, spossatezza, dolori ossei e muscolari e mal di testa – bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone. E agire come si fa con le virosi delle alte vie respiratorie. Quindi utilizzando non un antipiretico come la tachipirina, ma un farmaco antinfiammatorio, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale. Questo perché è proprio nei primi giorni che la carica virale è massima. Come evolve la malattia e come si interviene? La malattia funziona così: nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale. Poi, nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. Quello è il momento cruciale e quello è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone. Poi può seguire un periodo di infiammazione eccessiva (che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”), con sindrome respiratoria acuta: è questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine” (ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo ndr). Come si previene l’iper-infiammazione? Usando – quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi – farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o COX-2 inibitori) ad esempio il celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario. Questi farmaci inibiscono l’attività di un enzima infiammatorio, la ciclo-ossigenasi 2, e di tutte le prostaglandine (altre sostanze coinvolte nell’infiammazione) che sono formate dalla ciclo-ossigenasi 2. Sono sostanze che, nel Covid, giocano un ruolo chiave nella morte delle cellule, nella tempesta citochinica e nella fibrosi interstiziale polmonare. Un altro farmaco COX-2 inibitore utile a prevenire l’infiammazione eccessiva è la nimesulide, ovvero l’Aulin che tutti usano quando hanno dolori articolari. In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni. Se ci sono problemi o controindicazioni per il celecoxib e la nimesulide, il paziente può rimpiazzare questi farmaci con l’aspirina, visto che anch’essa inibisce COX-2. Posologia indicata: 500 milligrammi due volte al giorno dopo i pasti. Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione il dottore può prescrivere un corticosteroide come il desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine. A cosa bisogna stare attenti? Come succede con tutti i farmaci, anche con i COX-2 inibitori rarissimamente possono esserci effetti negativi, per questo la nostra strategia – e questo mi preme sottolinearlo – non deve essere assolutamente un “fai da te”: è una strategia da seguire a casa esclusivamente sotto controllo medico. Dopo 4-5 giorni si fanno degli esami: il conto dei globuli rossi e dei globuli bianchi, che ci dà l’idea della situazione immunologica. Poi si valuta la PCR (la proteina C reattiva), che ci indica se l’infiammazione sta andando avanti. La creatinina, per vedere com’è la funzione renale, il glucosio e un enzima per vedere come va il fegato. Se tutti questi esami risultano normali, il paziente può andare avanti con la sua aspirina o con il nimesulide, a seconda di ciò che aveva iniziato ad assumere. E normalmente la malattia si esaurisce nel giro di 10 giorni, o anche meno. Se invece negli esami risultano dei valori fuori posto? Allora è opportuno fare una radiografia al torace. E il medico può prescrivere cortisone, eventualmente ossigeno e – se il paziente è una persona fragile e la radiografia del torace mostra una sovrapposizione batterica – un antibiotico. Se l’esame del d-dimero (marcatore che rileva un’eccessiva coagulazione del sangue) ci indica che comincia ad esserci un’attivazione della coagulazione, allora il medico può somministrare una bassa dose di un anticoagulante come l’eparina, sotto cute, per prevenire la trombosi.Se invece la situazione peggiora, e la saturazione dell’ossigeno nel sangue diminuisce nonostante le cure – ovvero nonostante la terapia con ossigeno, cortisone ed eparina – allora il paziente va ricoverato in ospedale.

FONTE : REPUBBLICA

Professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri.

Prof. Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’Ospedale di Bergamo

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