È ancora viva l’eco dell’incontro con don Luigi Verdi, “L’amore fattelo bastare” avvenuto la sera del 31 u.s. presso il Santuario della Madonna del Carmelo in S. Teresa di Riva. A questo evento hanno preso parte circa 400 persone, tanto che in chiesa non vi erano più posti a sedere liberi e parecchi partecipanti hanno seguito attentamente in religioso silenzio rimanendo in piedi. Alla fine, tutti i presenti (soprattutto coloro che erano lì per la prima volta) hanno descritto l’incontro come “un’esperienza splendida, graffiante, coinvolgente”.
Proviamo a raccontare i passaggi più importanti, invitando i lettori a vedere (o rivedere) le immagini video postate sulla pagina facebook del nostro giornale.
Si comincia con la “magra umanità del povero tempo nostro” (Gianmaria Testa) per essere subito scossi dal commento di don Gigi, che sull’onda delle provocazioni del video “graffia” l’uditorio invitandolo a “non bestemmiare le parole”, quelle inerenti soprattutto i drammi familiari, smettendola di offendere il dolore della gente.
Il passo successivo e fondamentale è quello di bandire la paura, quella soprattutto di essere abbandonati, perché “la paura è il sentimento secondo, mentre il primo è l’amore, il sentirsi amati”, realtà che permette di fare le cose che sembrano impossibili.
A ben guardare, “siamo tutti principianti nell’amore” (Abbé Pierre) e la vita è il pezzettino breve nel quale impariamo ogni giorno ad amare.
Perché vivere se non per comprendere l’amore? E in questa direzione si scopre che “Dio è amore”, non possesso di Lui, né possesso dell’amore.
Ritorna puntuale il ritornello iniziale: “non bestemmiare” con i nostri bizantinismi queste due parole (Dio/amore).
Il video che introduce il secondo quadro della veglia è fatto di spezzoni tratti da “La strada” (Fellini) e dal sottofondo musicale di “Ho visto Nina volare” (De André) e fa emergere la bellezza e l’esigenza della gratitudine che vince ogni malinconia. Le immagini toccanti si soffermano sul primo piano di Gelsomina che ringrazia la suora per il dono della minestra suonando la tromba.
Questa scena diventa così simbolo dell’antidoto contro l’insoddisfazione dilagante di oggi, allorché si fatica a darsi un confine: nulla ci basta! Sta proprio qui l’intuizione vera e profonda dalla quale nasce il titolo della veglia “L’amore fattelo bastare”.
“Da questo incontro fatti bastare qualcosa, smetti di cercare troppo qualcosa che poi ti confonde la vita”, è l’invito di don Gigi che subito dopo continua a suscitare inquietudine attraverso alcune domande incalzanti a tal punto da togliere il respiro: “Perché fai fatica ad esser normale? O sei giù o sei su…o leone o pecora…perché fatichi a darti un limite, ad essere normale? Cosa mi basta o non mi basta?”.
A queste domande, l’autore della veglia risponde tracciando un duplice sentiero praticabile: “non mi basta ogni povertà, non mi basta l’amore quando non è pieno, non mi basta questa magra umanità”.
In positivo: “mi basta ogni ricchezza, quella quando sei davanti al mare, davanti a un bambino che nasce, davanti a un uomo che muore, davanti a una coppia che si bacia…”.
Il ritmo dell’incontro incalza anche quando viene raccontato l’aneddoto che ha come protagonista una semplice suora che da 75 anni “cucina da Dio” a tal punto che Guccini ha definito “il pranzo più buono della mia vita” quello preparato dall’anziana religiosa alla quale don Gigi chiedendo spesso: “Quanto pomodoro ci sta in questo piatto?”, ha sempre la stessa risposta: “Quanto basta…”.
È questione di semplicità, come diceva spesso van Gogh: “quanto è difficile essere semplici!”.
L’uomo odierno deve riscoprire e vivere la semplicità sullo stile del poverello di Assisi, nonostante gli ostacoli insormontabili: la bramosia a pensare che quanto si ha non basta; la patologia pervasiva (che spesso intacca anche quelli di Chiesa) che fonda i rapporti umani sulla bugia “istituzionale”; la mancanza di ironia che riesce a sdrammatizzare tante preoccupazioni. Quest’ultimo punto bisogna almeno integrarlo con la parole di Eugène Ionesco: “Dove non c’è ironia, c’è il campo di concentramento”.
La veglia è in continuo crescendo e tocca l’apice quando don Gigi si cimenta a narrare della perennità dell’amore: “se non è per sempre, non è amore”.
E l’amore umano non entra in conflitto con quello divino. “Il Cantico dei Cantici non parla di Dio perché parla dell’amore” afferma don Gigi, invitando l’uditorio a non contrapporre Dio e l’uomo, anticipando così la performance di Benigni a Sanremo.
Anche don Lorenzo Milani, stando al suo testamento, ha ben compreso questo passaggio scrivendo: “ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui abbia scritto tutto sul suo conto”.
È del tutto normale promettersi amore per sempre, attraverso i modi di sentire genuini di ogni uomo: “il nostro amore vincerà, non ti lascerò mai solo/a, voglio che tu non muoia non solo fisicamente, voglio che tu fiorisca…”.
Questi impegni solenni tuttavia si scontrano con inevitabili difficoltà e richiedono molta determinazione per andare avanti circondati dai “vuoti di felicità” ai quali bisogna contrapporre “il peso del coraggio” (F. Mannoia), sostenuti dal desiderio di scoprire il tesoro per il quale vale la pena giocarsi la vita.
Alla fine di questo intenso desiderio si scopre che l’amore è fedeltà (in ebraico, ’emet) che si può riformulare con “io non scapperò”. In filigrana, tenendo come punto base questa acquisizione di fondo, si può rileggere la storia di Rut e Noemi (nuora e suocera), due donne che sebbene segnate dalla perdita dei mariti (esperienza di tenebra) rimangono legate da delicati sentimenti umani e continuano a vivere insieme (esperienza di luce).
L’amore vero è contrassegnato dalla povertà materiale e dalla ricchezza d’animo. Solo così diventa motivo di libertà reciproca. Puntando su questa asserzione, don Gigi raccomanda ai genitori di attenzionare le richieste dei figli, così riassunte: “la vostra vera presenza e il vedere che siete innamorati”.
Bisogna dare il giusto peso alle “emozioni” (scorrono intanto le immagini dell’omonimo video di Battisti) ma senza assolutizzarle, perché l’amore non si fonda tanto su queste, quanto sulla conoscenza, sul desiderio di camminare insieme lungo i tornanti della vita quotidiana.
Benché oggi si assiste a una pandemia di convinzioni che ostruisce di prendere il largo, contrassegnata dalla facilità con la quale ci si crea un idolo dell’altro (tu sei tutto per me) e dall’alibi del non voler e poter cambiare (sono fatto/a così), bisogna tentare di spezzare questo cerchio magico asfissiante che paralizza l’amore.
La veglia si avvia così alle ultime battute, offrendo ancora piste di riflessione sempre coinvolgenti. “Il punto più alto della vita è l’amore e la tenerezza è il punto più alto dell’amore…” asserisce don Gigi e completa con: “questo amore non ha bisogno di parole, ma di gesti e fra questi la carezza, attenzione delicata che fa vibrare nell’intimo la persona che la riceve”.
La conclusione dell’incontro coincide con la carezza che tre ragazzi innamorati fanno a tutti con il profumatissimo olio di nardo mentre scorrono le immagini del video di Cristicchi e il sottofondo di “Io dalla vita ho imparato a rinascere…”.
L’arcivescovo Giovanni accolla, visibilmente emozionato e felice nello stesso tempo, ringrazia don Gigi, saluta i presenti e lancia l’invito a fare sbocciare dentro il cuore di ciascuno il desiderio di amare, allontanando le parole superflue e fuorvianti.
Il parroco don Ettore Sentimentale ringrazia la fraternità di Romena che ancora fa tappa a Messina e dintorni e annuncia che è bene condividere l’evento della veglia con la Parrocchia della Sacra Famiglia il cui parroco, don Alex De Gregorio, conosce molto bene don Gigi e la sua opera per aver fatto nella pieve romanica gli esercizi spirituali.
Siamo così ai titoli di coda incisi sul volto di ciascuno dalla gioia di un momento forte e incisivo e dal rammarico… perché l’incontro è “qualcosa di troppo bello ma il tempo è volato”.