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sabato, Novembre 23, 2024
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Emessa la sentenza contro l’aggressore di Gianluca Trimarchi. Lettera della sorella Gabriella che racconta un calvario lungo cinque mesi

Ieri si è chiuso un capitolo triste. I giudici hanno emesso la sentenza e condannato il messinese Francesco Saporito, l’aggressore di Gianluca Trimarchi, a sette anni di reclusione. Oggi speriamo e preghiamo che si possa scrivere un nuovo capitolo in cui si poter leggere di un miglioramento delle condizioni di salute di un ragazzo che sta a cuore a tutta la comunità della riviera jonica e che segue la vicenda con apprensione. Si con apprensione, perchè Gianluca è un ragazzo perbene, lavoratore conosciutissimo anche per la sua attività di calciatore. Di seguito pubblichiamo il pensiero della sorella Gabriella che, per la Gazzetta Jonica, ha voluto tracciare cinque mesi di calvario. Ancora la strada è in salita. 

“Quella del 23 luglio 2019, certamente sarà una data che io e la mia famiglia non potremo mai cancellare dalla mente. Quel giorno una chiamata, quella di mio padre alle 6.00 del mattino, svegliandomi di soprassalto, mi catapultò in quello che poi sarebbe diventato l’inizio di un incubo. Appresa la notizia di un’aggressione ai danni di mio fratello Gianluca, corsi in ospedale insieme a mia sorella e solo una volta raggiunta l’entrata del complesso operatorio, dove ci siamo ricongiunte ai nostri genitori, abbiamo cominciato a ricevere notizie confuse e incerte su quanto accaduto ore prima in quella che per mio fratello doveva essere una tranquilla serata estiva da trascorrere serenamente in compagnia, dopo il lavoro. Tra il via vai di amici e parenti, le ore della mattinata sono trascorse tra un’ansia crescente, nell’attesa di notizie positive, e la speranza di rivedere presto mio fratello alzare il pollice sorridendo, come di consueto quando così faceva per rassicurarci ogni qualvolta, durante le partite, in campo, gli capitava di sbattere contro un avversario durante un contrasto calcistico.

Le ore scorrevano tra abbracci e preghiere, continuavo a fissare la porta della sala operatoria finché, finalmente, nel primo pomeriggio, un medico, il neurochirurgo che lo aveva operato, con viso scuro e amareggiato, dopo averci spiegato quanto fatto durante l’intervento, ci informò delle bassissime possibilità che Gianluca sopravvivesse, vista la gravità delle condizioni in cui versava all’arrivo in ospedale. Ricordo nitidamente che ebbi la sensazione di un balzo al cuore, scoppiai in lacrime, incredula, ma poi tentai di farmi coraggio e di pensare che non era finita e che non dovevamo pensare che lo fosse. Così cominciammo a lottare con lui e per lui. Dopo l’intervento, Gianluca fu portato in rianimazione e li passammo tutta l’estate e l’inizio dell’autunno… Dietro quella porta, nella sala d’attesa, nella cappelletta, spesso eravamo riuniti in preghiera per lui. Durante il coma gli parlavamo e pregavamo di rivederlo presto in piedi.ma i mesi passavano, e con essi le nostre paure aumentavano ad ogni febbre, ad ogni peggioramento un sussulto, la paura costante di perderlo era forte ed insistente. La fede, unico vero sostegno. Col passare dei giorni le dinamiche dell’accaduto si facevano più chiare, ma noi non avevamo tempo per alimentare La rabbia, era un sentimento che non potevamo permetterci, Gianluca aveva bisogno di noi e noi dovevamo pensare a lui.

Io e la mia famiglia Avevamo ricevuto troppi colpi al cuore. Nonostante le molteplici complicazioni di Gianluca, la scarcerazione del responsabile ai primi di agosto a pochi giorni dall’arresto, mentre mio fratello rimaneva sospeso tra la vita e la morte, mi facevano comprendere quanto fosse importante restare salda ai miei valori, fondamentali per andare avanti: fede e giustizia. Ho sempre creduto nella giustizia, e l’ho aspettata in questi mesi di rinvii e sofferenze, l’ho invocata ogni volta che vedevo mio fratello patire ingiustamente, ogni volta che lo sconforto a tratti ci assaliva e mai per un momento ho pensato di arrendermi, ho intrapreso una battaglia, quella per la giustizia, e ho deciso di raccontare la nostra storia perché stanca di leggere notizie non veritiere, perché ritenevo necessario raccontare di chi fosse Gianluca e quanto fosse ingiusto ciò che aveva subito, e soprattutto affinché non passasse il messaggio che chiunque si possa sentire legittimato ad offendere, dal momento che può ben sperare di restare impunito.

I mesi passano, si sveglia dal coma ma non si riconosce, non capisce perché si trovi in quel letto d’ospedale, non ricorda nulla. Alcuni medici ed infermieri che lo seguono con amore, lo salutano finalmente ai primi di ottobre, felici di mandarlo finalmente ad intraprendere un percorso neuro riabilitativo, ma presto, è costretto a tornare in quell’ospedale, dopo appena 36 ore e stavolta perde mezzo polmone. Gianluca è forte, combatte, è stanco e fortemente debilitato, ma continua a combattere per la sua vita. Non intende mollare. E noi con lui. Nel frattempo, l’aggressore continua la sua vita agli arresti domiciliari così come stabilito dal tribunale della libertà prima e confermato dalla cassazione poi. Arrivano le udienze che vengono rinviate, ed il colpevole trascorre le feste a casa, mentre Gianluca continua la sua battaglia in un letto d’ospedale. E noi le feste le passiamo, li, insieme a lui. Finalmente ieri la sentenza. L’aggressore, chiede il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, nella fase cautelare e nella scelta del rito, noi parte civile non possiamo opporci, possiamo solo attendere un verdetto, che finalmente ieri è arrivato. Chi ci ha causato tanto dolore oggi si dice pentito, ma io a questo pentimento, arrivato davanti ad una telecamera, proprio il giorno della sentenza, non credo. Rispetto comunque la decisione del giudice, 7 anni di reclusione per lesioni gravissime, adesso chiedo solo certezza della pena.

Più di tutto, aspetto con fiducia il giorno in cui ogni cosa sarà tornata al proprio posto e a Gianluca sarà tornato il suo coinvolgente e smagliante sorriso”.

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