Da qualche mese la Sugarcoedizione di Milano distribuisce un interessante testo del professore Massimo Introvigne, “Il fondamentalismo dalle origini all’Isis”, un’opera interessante dove si sostiene che la domanda di religione ancora presente è in gran parte una domanda di conservatorismo. Infatti, secondo Introvigne, “in una situazione normale, il tipo di religione che ha più successo è quello conservatore; il fondamentalismo ha una presenza più ridotta, l’ultra-fondamentalismo molto ridotta”. Ma ahimè, i tempi non sono normali, e quindi il fantasma del “fondamentalismo” è emerso dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Questo fenomeno viene studiato sia dalla sociologia delle religioni, che dalla geopolitica. Introvigne noto sociologo, fondatore del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni) in questo testo lo studia con ampia documentazione, proponendo i casi della Palestina, della Turchia, dell’Algeria, fino all’emigrazione musulmana in Europa, da bin Laden al Califfato dell’Isis.
Lo studio si divide in due parti. Nella prima, si chiede se sia possibile proporre una teoria del “fondamentalismo” dal punto di vista della sociologia delle religioni, in particolare da quella detta dell’economia religiosa. Nella seconda, propone un’applicazione della griglia teorica e metodologica al cosiddetto “fondamentalismo” islamico. Introvigne volutamente mette fra virgolette la parola “fondamentalismo”, proprio perché non è una “categoria univoca o scontata”, spesso, nello studio, viene messa ripetutamente in discussione.
Lo studio del professore torinese si muove nell’ambiente metodologico della teoria dell’economia religiosa del grande sociologo americano Rodney Stark, illustrata da Introvigne nel testo, “Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente” (Stark e Introvigne, 2003).
Che cosa sostiene questa teoria? Nella prima tesi: i “movimenti religiosi hanno molto spesso cause e motivazioni religiose”. Invece il marxismo, la psicanalisi, la scuola di Francoforte, hanno convinto generazioni di studiosi che “i fenomeni che si presentano come religiosi sono spesso solo la maschera di fattori materiali”. Infatti Friedrich Engels, il più stretto collaboratore di Marx, spiegava che “ogni religione non è altro che il riflesso fantastico nella testa degli uomini di potenze esterne che dominano la loro esistenza quotidiana, come le condizioni economiche e i mezzi di produzione”. Così, per anni si è sostenuto che “la Prima Crociata è la conseguenza di un surplus demografico all’interno della nobiltà europea – nel senso che bisognava trovare qualcosa da fare per i figli dei cadetti in soprannumero delle famiglie nobili -, che le eresie medievali e la Riforma rappresentano una lotta di classe della borghesia urbana contro la nobiltà rurale, e che i ‘Grandi Risvegli’ che contraddistinguono la storia del protestantesimo inglese e americano sono forme primitive di rivolta contro la moderna economia di mercato”.
Anche se ormai gli storici hanno smantellato queste costruzioni ideologiche, tuttavia, per Introvigne, “ogni volta che un fenomeno sembra religioso, un riflesso condizionato, che deriva in gran parte dal marxismo, spinge molti a chiedersi: di quale struttura economica reale la ‘sovrastruttura’ apparentemente religiosa è la maschera o il prodotto?”. Questa prima tesi diventa pertinente dopo che sono stati congelati i conflitti regionali durante la Guerra Fredda, quando il tutto era ridotto alla domanda: “Stai con i sovietici o con gli americani?”
Infatti dopo il 1989 sono riemersi scontri locali che “la Guerra Fredda aveva nascosto, ma non risolto”, scrive Introvigne. Così le tesi di Juergensmeyer o dello stesso Samuel Huntington, sono attendibili, perchè sostengono che i conflitti locali molto spesso hanno un’importante componente religiosa, anche se non sono completamente privi da componenti nazionali, etniche, politiche, economiche. Peraltro, per Introvigne l’insegnamento che si può trarre dal libro “Lo scontro di civiltà” (The Clash of Civilizations and Remaking of World Order (1996), spesso più criticato che letto, “è che gli elementi che fanno riferimento alle nozioni di civiltà e di cultura – quindi anche di religione – sono riemersi in tutta la loro ineludibile pregnanza dopo la fine della Guerra fredda[…]”.
La seconda tesi dell’economia religiosa è quella che “i processi di modernizzazione non determinano necessariamente il venir meno della presenza della religione, ma sono compatibili, a determinate condizioni, con la tenuta e perfino con la crescita delle credenze e delle appartenenze religiose”.
La terza tesi della religious economy, sia in Europa che negli Stati Uniti, ha raccolto minori consensi rispetto alla seconda, anzi appare “scandalosa” e “politicamente scorretta”. Sempre che si verificano determinate condizioni, la religione, che tiene o cresce nelle società moderne e postmoderne non è, come si potrebbe a prima vista credere, la religione ‘progressista’ che cerca di adattarsi alla modernità, ma è al contrario la religione ‘conservatrice’, che con diversi elementi della modernità è in evidente contrasto”. Infatti esiste una tesi di una certa sociologia delle religioni negli Usa, che sostiene che “le Chiese e le comunità ‘conservatrici’ vincono e quelle ‘progressiste’ perdono”.
Per quanto riguarda la questione del fondamentalismo, Introvigne ammette che il termine lascia molto spazio alla confusione, “un tema fra i più scivolosi e inafferrabili, per di pù inquinato da un uso ‘politico’ e polemico del termine”. Introvigne a questo proposito introduce anche la nozione di “ultra-fondamentalismo” con riferimento a gruppi di tipo estremista e radicale, alcuni dei quali ricorrono alla violenza e al terrorismo”.
La seconda parte del volume si occupa di come la teoria starkiana dell’economia religiosa, si applica all’Islam contemporaneo. Pertanto, secondo Introvigne, “anche nel mercato religioso intra-islamico, a mano a mano che avanzano i processi di modernizzazione è possibile che si verifichi il fenomeno imprevisto o almeno non previsto – e certo imprevedibile da parte dei teorici della secolarizzazione – secondo cui movimenti conservatori ‘vincono’ e tentativi progressisti ‘perdono’”. Anche se il professore torinese nel testo, più volte, si chiede se l’espressione “fondamentalismo” sia idonea e rende ragione dell’ampio e variegato arco di organizzazioni islamiche, e se sia giusto riunirle sotto una sola etichetta. A questo punto Introvigne propone tre diversi tipi di realtà nel mondo islamico: i conservatori, i fondamentalisti in senso stretto, e gli ultra-fondamentalisti. Per Introvigne, anche per il mondo islamico, vale la “la teoria dell’economia religiosa prevede maggiore successo, in condizioni normali, delle organizzazioni conservatrici rispetto a quelle fondamentaliste e una presenza relativamente limitata dei movimenti ultra-fondamentalisti”. Il sociologo italiano sa che l’impressione che si ha del mondo islamico sia diversa: però, “occorre chiedersi se le cose stanno davvero così, e in caso affermativo perché”. Il quinto e ultimo capitolo, il libro si affronta la nicchia ‘ultra-fondamentalista’ o radicale all’interno dell’islam. E qui il professore con documenti e conoscenze alla mano si occupa di una miriade di personaggi e di organizzazioni ultra-fondamentaliste e terroristiche senza esclusioni. Per la verità il testo costituisce una specie di aggiornamento e ampliamento del volume pubblicato nel 2004 da Piemme, “Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa”. E’ chiaro che la parte relativa all’ultra-fondamentalismo islamico e al terrorismo è stata ampiamente riscritta, con particolare riferimento all’Isis e al Califfato nelle terre siriane e irakene.