Dietro sollecitazione di un amico, provo a fare qualche considerazione del fenomeno immigrazione in merito agli ultimi mesi, aiutandomi con alcuni interventi, che mi sembrano abbastanza significativi. Naturalmente non ho la pretesa di dare giudizi definitivi sull’argomento. Consapevole che la questione è molto complessa e difficile da risolvere e sicuramente non si può affrontare con dosi di emotività o con atteggiamenti da barsport. Ancor prima di passare alla presentazione degli interventi, credo sia utile, ancora oggi, rileggere il celebre discorso di San Petronio, dell’emerito cardinale Giacomo Biffi, del settembre 2000. Allora il cardinale, scomparso recentemente, in merito all’immigrazione, faceva una netta distinzione tra la posizione della Chiesa e quella dello Stato. In pratica, quest’ultimo non può fare quello che fa il prete. E’ una distinzione che fa anche Marco Invernizzi, in un editoriale de la comunitambrosiana.org del 20 agosto, che riprende un articolo di Mauro Magatti dal Corriere della Sera del 20 agosto dove stabilisce per l’immigrazione un diverso approccio da parte della politica rispetto a quello della religione. E’ proprio “da qui bisogna partire se si desidera avvicinarsi a una soluzione non ideologica al problema”, scrive Invernizzi.
Diversi sono i compiti della Chiesa e quelli dello Stato.
Infatti occorre distinguere la posizione che devono tenere gli uomini di Chiesa da quello dei governanti, pertanto, da un lato, “La Chiesa ha il dovere di accogliere tutti coloro che hanno un particolare bisogno di aiuto: i poveri, gli orfani e le vedove, i forestieri di cui parla spesso la Bibbia. Il cristiano, come il samaritano del Vangelo, incontra la persona ferita e debole, non può fare finta di non vederla. E mentre si chiede da dove e perché sia arrivata, e con quali intenzioni, intanto cerca di aiutarla per quanto è nelle sue possibilità.
Il governante ha un compito diverso. Egli ha la responsabilità di una comunità politica che, come sottolinea lo stesso Magatti, esiste nella misura in cui si differenzia dalle altre per storia, cultura, geografia, religione. Il suo dovere principale è quello di proteggere e valorizzare la specificità della comunità di cui è responsabile, senza per questo disprezzare o aggredire le altre”. (M. Invernizzi, Immigrazione, politica e religione, 20.8.15 comunitambrosiana.org)
Tuttavia occorre stare attenti a non cadere in atteggiamenti demagogici, come fanno troppi cattolici, che si affidano alle frasi roboanti dei media, che spesso invece di chiarire, confondono.
Sicuramente in questo momento storico, occorre rafforzare la propria identità, amando la propria comunità, e quindi proteggendola anche da un’immigrazione incontrollata. Oltre a questo però c’è un dovere di “accogliere e integrare, che spesso rappresenta anche opportunità di crescita”. E proprio il nodo della scelta spetta soltanto al governante e non al vescovo. E’ il governante che “può stabilire quanto e come integrare un flusso di immigrati che si presenta ai confini della propria comunità politica. Può sbagliare certamente, ma può soltanto essere consigliato non sostituito. Il vescovo, come rappresentate di un’autorità che ha una funzione diversa, più importante in un certo senso perché riguarda la fede e l’eternità, può comportarsi nei confronti del governante come il direttore spirituale nei confronti del capofamiglia o dell’uomo politico: può spronarlo a essere generoso e magnanimo oltre che prudente, ma non può sostituirsi a lui né scendere sul suo stesso piano, come se fosse il sostenitore di un’altra opzione politica”.
Accoglienza, si, ma nel rispetto dei valori.
Un interessante intervista di Riccardo Cascioli su Lanuovabussolaquotidiana.it
a monsignor SilvanoTomasi, nunzio apostolico all’ONU di Ginevra, aiuta molto a capire la questione. «L’accoglienza, la generosità è un dovere, – afferma monsignor Tomasi – ma va trovato un punto d’equilibrio per tutelare anche la popolazione che accoglie e soprattutto va rispettato il diritto dei Paesi a mantenere la propria identità». Sono parole diverse rispetto ai proclami populisti di alcuni vescovi italiani, vedi i monsignori Galantino e Mogavero, che parlano di apertura incondizionata delle frontiere per tutti. Monsignor Tomasi ha una lunga storia alla spalle, non può essere accusato di chiusure, da diversi anni ha lavorato con i migranti e i rifugiati, ha avuto diversi incarichi della Santa Sede per la cura proprio dei migranti.
Consapevoli che il fenomeno della migrazione è complesso, bisogna tenere conto dei tanti fattori: «Certamente c’è la priorità di salvare vite umane, abbiamo il dovere dell’accoglienza, è una responsabilità verso le necessità del resto della famiglia umana. Ma – per monsignor Tomasi – si deve anche tenere conto della popolazione che deve accogliere, il bene comune esige che si trovi un punto di equilibrio».
Nessuna apertura indiscriminata delle frontiere dunque, piuttosto «il problema va affrontato alla radice – afferma monsignor Tomasi – e vedere le cause per cui tutte queste persone si muovono. Probabilmente scopriremmo che anche i nostri paesi europei, ad esempio, hanno qualche responsabilità nelle condizioni di miseria e guerra dei paesi di origine: certe regole del commercio, l’appoggio a governi repressivi, per non parlare della situazione in alcuni paesi del Medio Oriente: è un dato di fatto che dall’invasione dell’Iraq nel 2003 la situazione sia andata peggiorando». (Riccardo Cascioli, “Accoglienza, si, ma nel rispetto dei valori”, 25.8.15, LaNuovaBQ.it)
A questo proposito la NuovaBQ.it , ha affrontato la questione degli aiuti dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri. C’è un fiume di denaro che si perde in mille rivoli. “È da oltre mezzo secolo che su quei paesi si riversano risorse per decine di miliardi di dollari ogni anno. Per la maggior parte si tratta di aiuti per lo sviluppo e di aiuti umanitari e di emergenza in situazioni di crisi forniti da una trentina di stati quasi tutti occidentali”. (Anna Bono, Troppo facile dire: “Aiutiamoli a casa loro”, 23.8.15, LaNuovaBQ.it) In ogni caso, come dimostra anche l’appello dei vescovi africani, attraverso il presidente della Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo, monsignor Niolas Djomo, l’emigrazione non è un fenomeno positivo per i paesi africani, che perdono in questo modo la parte più attiva della popolazione su cui poter contare per costruire il futuro. Infatti, monsignor Djomo invita i giovani africani a stare nel proprio Paese: “Voi siete il tesoro dell’Africa. Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali». (A. Bono, I Vescovi africani ai giovani: “non emigrate”, 25.8.15, LaNuovaBQ.it)
Tuttavia, anche l’accoglienza in Europa necessita di alcuni chiarimenti: «Accanto al dovere di accoglienza – prosegue monsignor Tomasi – c’è anche il diritto di mantenere la propria identità, in questo caso l’identità cristiana». Non è un limite alla libertà religiosa, al contrario è una preoccupazione che dovrebbe stare a cuore alle autorità civili: «Accoglienza, va bene – continua il nunzio vaticano – ma nessuno si preoccupa del “poi”, dell’eventuale processo di integrazione per coloro che restano. Non possiamo nasconderci il fatto che c’è una popolazione, quella musulmana, che ha problemi in questo senso. E qui ritorna la tesi del cardinale Biffi. Non accettare la separazione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato ha ripercussione diretta sulla possibilità di integrazione. E come facciamo? Dobbiamo anche dire che ci sono dei valori fondamentali che devono essere accettati. Tra questi valori fondamentali c’è il rispetto del pluralismo nella società, la separazione tra politica e religione, l’accettazione di un processo democratico normale, in modo che sia possibile la convivenza serena, costruttiva di tutte le persone che vengono a costituire la comunità arricchita di queste presenze».
Monsignor Tomasi mette il dito nella piaga: in Europa ci sono 30 milioni di musulmani, un problema enorme da questo punto di vista. Si capisce allora la preoccupazione della Slovacchia, che pure è finita nel vortice delle critiche per aver affermato che intende accogliere profughi siriani sì, ma solo quelli cristiani: «Non è discriminazione – dice mons. Tomasi – è il tentativo di far valere il diritto alla propria identità pur ottemperando al dovere dell’accoglienza». Chissà se in Italia – morto il cardinale Giacomo Biffi, che espresse pubblicamente queste tesi già 15 anni fa – ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di riaffermare questi sacrosanti princìpi di civiltà….