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lunedì, Novembre 25, 2024
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L’assalto alle bellezze d’Italia

Il merito di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo in “Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia”, Rizzoli (2011) è quello di aver descritto capitolo dopo capitolo il degrado e il perenne saccheggio del nostro immenso patrimonio artistico e culturale presente nel nostro territorio. I due giornalisti d’inchiesta così come nella “Casta” anche in questo pamphlet riescono nell’intento di suscitare almeno un po’ di scandalo tra i lettori.

Le uniche ricchezze che possiede il nostro Paese, il paesaggio, i siti archeologici, i musei, i borghi medievali, la bellezza, sono sotto attacco. Non abbiamo il petrolio, il gas, i diamanti o le distese terre per pascolare o per seminare, “abbiamo una sola, grande persino immeritata ricchezza – scrivono i due giornalisti – la bellezza dei nostri paesaggi, la bellezza dei nostri siti archeologici, la bellezza dei nostri borghi medievali, la bellezza delle nostre residenze patrizie, la bellezza dei nostri musei, la bellezza delle nostre città d’arte”

Nel 1 capitolo i giornalisti presentano un assurdo episodio di devastazione: l’utilizzo dell’Appia Antica, da parte delle auto blu dei politici, passando a cento all’ora davanti alla tomba di Cecilia Metella, accelerando e rallentando di basolato in basolato. “L’aggressiva violenza padronale a quella che forse è la più bella strada del mondo, percorsa con religioso stupore dai grandi viaggiatori del passato che la risalivano a piedi o a cavallo sostando alle catacombe di San Callisto, alla Villa di Massenzio, al tumulo dei Curiazi, non è solo una delle manifestazioni di mancanza di rispetto di una politica troppo occupata in altre faccende per porsi il problema del nostro patrimonio. Quelle gomme delle auto blindate che calpestano delicati selciati costruiti ventitré secoli fa per le quadrighe sono la metafora di come la classe dirigente di questo Paese calpesta quotidianamente i grandi tesori italiani.

Probabilmente la maggior parte è consapevole che possediamo la maggior parte dei capolavori d’arte del pianeta, a volte capita sui giornali leggere le percentuali che più o meno salgono o scendono nel calcolare il nostro ingente patrimonio culturale. Comunque sia in tempi di nera crisi, “non abbiamo altre carte da giocare”, scrivono Stella e Rizzo, dobbiamo tutelare e riconoscere il nostro patrimonio per cercare di farlo fruttare e portare turisti in Italia. Ma per fare ciò occorre che scompaia lo scempio, l’aggressione al territorio raccontato nel libro Vandali. Lo scempio delle coste calabresi che non sono più quelle descritte dal veneto Giuseppe Berto, pazzo d’amore per Capo Vaticano e poi per le altre coste, dove troviamo palazzine senza intonaco, casermoni simili a grandi scatole, dove si esercitano geometri o ingegneri scadenti, ma questo accade in tutto il Sud e forse anche al Nord, dappertutto, un abusivismo da spavento. “E cosa fa la politica? Non ci prova neppure ad abbattere e risanare. Preferisce il lifting”.

A questo proposito, scrive Roberto Ippolito nel suo “Il bel paese maltrattato”: “(…)non si tratta semplicemente di un’offesa ripetuta al passato a all’aspetto: è un’offesa all’identità nazionale, al patrimonio che caratterizza il Paese, all’anima della vita quotidiana, ai tesori che rappresentano il cammino da ieri a oggi e sui quali si dovrebbe saper costruire anche il futuro. Un’offesa alla creatività e all’imprenditorialità. E quindi anche al turismo e all’economia”. Molti sono gli intellettuali, i grandi pensatori che hanno denunciato questo vandalismo diffuso, che hanno descritto la volgarità, la bestialità, l’ignoranza di questi nuovi vandali: proprietari, mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, etc.

Tra i tanti nomi il libro cita Montanelli che prima di morire, maledì il nostro Paese che tanto aveva amato, scrivendo che le ruspe sono sempre in agguato per “dare sfogo all’unica vocazione di questo nostro popolo di cialtroni che non vedono di là dal proprio naso: l’autodistruzione”.

Del saccheggio sono responsabili non solo i politici, ma anche gli imprenditori, la finanza, quella mercantile, quella alberghiera, tutti. “Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall’irruzione dei cantieri, fabbriche di miliardi e di posti di lavoro(…)”. Stella e Rizzo fanno qualche esempio del “fatturato” di certe gallerie inglesi o americane, la “Tate Britain” e il “Metropolitan Museum”, il primo 76,2 milioni di euro, poco meno degli 82 milioni entrati nelle casse con biglietti di tutti i musei e i siti archeologici statali italiani messi insieme.

Come custodiamo le nostre ricchezze? Molto male, “ti prudono le mani a sapere che il tombarolo che ha scoperto e saccheggiato la villa di Caligola a Nemi non ha fatto un minuto di galera e quasi certamente non entrerà nel carcere”. Spesso questi tombaroli vendono le sculture a pezzi e magari hanno spaccato altre sculture o reperti importanti.

Il libro al 2 capitolo descrive lo scempio di Pompei, “mosaici a pezzi, randagi”, che pisciano nelle domus. E di questi giorni un episodio che ha riportato “Il Giornale”, dove un suo giornalista, fingendosi turista, è riuscito a portare fuori dal sito pezzi di reperti senza che nessuno lo controllasse. Lo zainetto pesa. È colmo di ruderi archeologici. Sono macerie di vecchie mura risalenti all’eruzione vesuviana del 79 d.C.: «vestigia del passato», le definirebbe Piero Angela, idem il figlio Alberto(…)Però so per certo che raccoglierle da terra e nasconderle nella mia borsa nera è stata la cosa più facile del mondo. Nessuno mi ha visto. Nessuno poteva vedermi. La ragione? Semplicissima. Attorno a me, nel raggio di decine di metri, non c’era neppure un custode, né una telecamera di sorveglianza.  In compenso, durante la furtiva passeggiata col bottino archeologico a tracolla, ho incrociato lo sguardo stupito di qualche turista che, buttando un occhio alla mia borsa, forse è stato attraversato da un dubbio: «Ma che ci fa quello lì con la sacca piena di pietre. Non le avrà mica rubate?”.(Nino Materi, “Ho rubato reperti storici negli scavi di Pompei. Nell’indifferenza di tutti”, 3/7/14, Il Giornale)

L’episodio ha suscitato ampie polemiche, ma resta il fatto che l’immenso sito archeologico campano è a rischio di atti di vandalismo e nessuno riesce a poterli controllare. Peraltro era già successo un episodio simile descritto nel libro da Stella e Rizzo; sempre un giornalista, questa volta del “Mattino”, per dimostrare la disperazione di Pompei, un giorno nel 2010, si è impossessato per qualche ora di alcune tessere del mosaico delle “Fontane del Vigneto del Triclinio Estivo”, accanto alla “Palestra Grande”, erano ammonticchiate in una nicchia, prenderle e metterle in tasca è stato semplice. Chiaramente a Pompei c’è il problema della sorveglianza, i custodi non ce la fanno più, “è durissima tener d’occhio 66 ettari e 1500 domus, ‘camminando ore e ore su terreni accidentati”. In compenso, tra le macerie di Pompei si aggirano i cani randagi. Intanto il quadro che si presenta ai turisti è desolante o meglio allucinante. Dai bagni rotti e sempre sporchi, ai biglietti che non si trovano o che vengono venduti e poi rivenduti. E poi pare che il sito possa contare soltanto su un solo archeologo, un direttore degli scavi e di se stesso, che macina chilometri a piedi. Questo è il quadro del nostro “Museo archeologico all’aperto di oltre 60 ettari”, l’unico al mondo con queste caratteristiche.

Per ora mi fermo, dovremmo affrontare gli altri scempi, vedremo.

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