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martedì, Ottobre 22, 2024
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Mandanici, a piedi verso la Madonna del Tindari. Una storia inedita.

Mandanici – Da anni i pellegrini di Misserio, Pagliara, Mandanici, e di S. Teresa di Riva dopo un giorno e una notte di cammino, giungono ai piedi della Madonna del Tindari pregando e cantando, con esemplare compostezza, visibilmente commossi, segnati dalla stanchezza per il lungo cammino e a volte anche per aver affrontato l’inclemenza del tempo. Queste comunità, che da oltre un secolo e senza interruzione, puntualmente, ogni anno vengono numerosi in pellegrinaggio ai piedi della bruna Madonna del Tindari, rivelano una fede viva ed una filiale devozione alla Madonna. A Mandanici come ogni anno, dal secondo venerdì di maggio (mezzanotte del giovedì) alla domenica, viene effettuato il pellegrinaggio alla Madonna del Tindari (a Matri tunnaru). Fede e tradizione sono i due elementi che da 139 anni animano il pellegrinaggio, a piedi, alla Madonna di Tindari. Un rito che si ripete dal 1871, quando due emigrati, uno di Mandanici e l’altro della frazione santateresina di Misserio, fecero il voto di percorrere a piedi la strada che dal paese in cui vivevano conduceva a Tindari se fossero riusciti a tornare a casa. La tradizione vuole che il paese di Mandanici sia stato liberato per intercessione della Madonna da una tremenda invasione di cavallette o formiche rosse che divorarono tutto quel poco che i contadini con tanti sacrifici erano riusciti a produrre. Da supposizioni storiche fatte specialmente da non credenti si pensa che il pellegrinaggio si sia sviluppato intorno al 1500/1600 in piena Santa Inquisizione, che secondo alcuni scritti Mandanici fece una vera strage. Potrebbe essere pure realistico che molti residenti furono costretti per espiare ed estinguere i loro peccati a recarsi a Tindari per prestare la loro manodopera per la ricostruzione della vecchia chiesetta non tralasciando che l’allora Vescovo di Patti (Sebastian Bartolomeo 1546/1555) era pure il Capo dell’inquisizione. Oppure potrebbe essere stata concessa qualche indulgenza plenaria a chi si fosse recato al Santuario Mariano. Sembra però che il pellegrinaggio si sia sviluppato per ringraziamento alla Madonna per avere liberato il nostro territorio dall’invasione delle cavallette provenienti dalla sponda africana del Mediterraneo che colpì quasi tutta la Sicilia nel 1783, tanto che gli abitanti della zona tirrenica, destinazione del pellegrinaggio chiamano i pellegrini di Mandanici “i fummiculari”. Fra formiche e cavallette c’è ovviamente differenza, ma potrebbe darsi che al contempo vi siano state anche le formiche con le ali, fastidiose anch’esse. Non si ha certezza di una invasione di formiche nel territorio mandanicese ma di cavallette sì, che divoravano tutto al loro passaggio lasciando nella miseria più assoluta la gente. Tradizione che riesce ancora ad esprimere lo stesso linguaggio della fede rimasto inalterato nel corso del tempo assumendo ora le caratteristiche devozionali ora quelle penitenziali. Non di rado abbiamo visto pellegrini percorrere il lungo tragitto a piedi scalzi, qualcuno con grande sacrificio senza profferire parola, altri senza bere e senza mangiare, altri che sono venuti appositamente dalle lontane terre ove si trovano emigrati. Tutti, coinvolti in un viaggio del corpo e dell’anima, un tempo s’inerpicavano per sentieri impervi travalicando montagne fantastiche dalle quali è tuttora possibile ammirare e assaporare paesaggi incantevoli. Dal 1966 con la costruzione di una trazzera provinciale (rimasta ancora tale) che da Mandanici porta a Castroreale l’antico tragitto ha subito notevoli mutamenti rendendolo decisamente più agevole, senza quei continui saliscendi di montagne e vallate. A guidare il popolo dei pellegrini lo Stendardo raffigurante l’immagine della Madonna del Tindari accompagnato dal suono amico del tamburo. Suono che da secoli si ripete con gli stessi ritmi di marcia. Nell’attraversamento dei centri abitati i pellegrini intonano invocazioni sacre inneggianti alla Madonna. “Evviva la Gran Siggnura Maria”, e “non scuddamuni u nomu di Maria”, e “ccu chiu beni la voli cchiu fotti la gghiama”.

Mario Carpo

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