Bruxelles, 13 nov. (askanews) – Il Parlamento europeo potrebbe votare domani, durante la sua “mini plenaria” di novembre a Bruxelles, se avviare la marcia indietro sul Green Deal, cominciando, come vuole il Ppe, da una delle sue misure più importanti: il regolamento Ue contro la deforestazione importata, che era già stato approvato definitivamente dal Consiglio Ue il 16 maggio 2023, ed è già entrato in vigore dal 29 giugno dello stesso anno.
Il regolamento prevede che le sue disposizioni diventino vincolanti dal 30 dicembre 2024 per le imprese e gli importatori di grandi e medie dimensioni, e sei mesi dopo, dal 30 giugno 2025, per le piccole e micro imprese. Ma la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa il 2 ottobre scorso, che prevede di una modifica del testo già approvato, per ritardare di un anno esatto queste due scadenze, portandole rispettivamente a fine 2025 e a metà 2026.
Dopo che i ministri in Consiglio Ue hanno già approvato in prima lettura la proposta di rinvio di un anno, tocca ora al Parlamento europeo pronunciarsi. Ma invece di limitarsi ad approvare la proposta, o al limite a pronunciarsi per una modifica della durata del rinvio, la plenaria del Ppe è chiamata a votare 15 emendamenti, presentati a sorpresa dal Ppe, che mirano anche a cambiare sostanzialmente il testo del regolamento, introducendo una serie di esenzioni per tutto il settore del commercio, definendo una nuova categoria di paesi “a rischio zero di deforestazione” che potrebbero esportare nell’Ue senza controlli, e cancellando alcune delle misure vincolanti per certe categorie di imprese.
Questo innanzi tutto aumenterebbe la tensione già molto alta in seno alla vecchia “maggioranza Ursula” (Popolari da una parte e S&D e Liberali di Renew dall’altra) che non è ancora riuscita a uscire dal pantano dei veti incrociati sulle audizioni di conferma dei membri designati della prossima Commissione europea. E in secondo luogo metterebbe von der Leyen in una situazione delicata, perché dovrebbe decidere se bloccare il tentativo del suo stesso partito, il Ppe, di stravolgere un regolamento già in vigore, che ha dichiarato ripetutamente di non voler assolutamente modificare (tranne che per i tempi di attuazione), o se invece tacere, e aspettare di vedere se i Ventisette, in Consiglio Ue, accetteranno le modifiche eventualmente introdotte dal Parlamento europeo.
Se, nel secondo caso, il Consiglio accettasse anche solo in parte le modifiche sostanziali chieste dal Parlamento europeo, senza una ferma opposizione da parte della Commissione, è evidente il segnale che verrebbe dato dall’Esecutivo comunitario, nonostante i proclami contrari ripetuti da gran parte dei commissari designati durante le loro audizioni di conferma: il segnale che dal Green Deal si può tornare indietro, e che la retromarcia può essere innestata persino riguardo alle misure che sono già state adottate e sono entrate in vigore.
Esattamente quello che vogliono l’estrema destra, i Conservatori dell’Ecr e una buona parte del Ppe. A questo punto, si potrebbe concludere che il processo legislativo dell’Unione europea è ormai finito in mano a questi gruppi, ovvero alla “maggioranza Venezuela”, e non è più controllato dalla vecchia “maggioranza Ursula” europeista.