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Crisi idrica in Sicilia: è giallo sui prelievi d’acqua da pozzi contaminati

Allarme sempre più rosso in Sicilia per la siccità. La crisi idrica è grave, dal 27 maggio non ci sono piogge significative sull’Isola e questo sta già comportando una serie di importanti conseguenze, come rileva l’Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue).

Tra queste, “è presumibile – spiega il presidente Massimo Gargano – che l’acqua rimanente in oltre la metà dei bacini dell’Isola sia di fatto inutilizzabile. Al netto delle responsabilità della politica, incapace di rispondere adeguatamente all’incedere della crisi climatica, lo scenario, avvalorato dall’European Drought Observatory, è di un allarme rosso per la grande aridità, anticipatrice della desertificazione, su oltre il 50% dei territori in Sicilia, Puglia e Basilicata, cui aggiungere zone costiere di Calabria e Sardegna, nonché zone localizzate lungo la dorsale appenninica e la fascia adriatica”.

Per questo, come emerge dai verbali dell’Autorità di bacino, all’ordine del giorno ci sarebbe anche “la ripresa dei prelievi idrici da pozzi contaminati da nitrati, previa la depurazione delle acque prima del loro utilizzo”. Ciò potrebbe interessare soprattutto le zone turistiche.

Ipotesi che ha creato subito un certo allarmismo tanto da costringere il segretario generale dell’Autorità di bacino, Leonardo Santoro, a smentire: “È assolutamente infondato che la Regione abbia autorizzato la ripresa dei prelievi idrici da pozzu contaminati da nitrati, come dichiarato invece dal presidente dell’Anbi”.

A prescindere da come stanno davvero le cose, secondo quanto pubblicato dall’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia, al 27 maggio dei 288,95 milioni di metri cubi allora trattenuti dalle 29 dighe dell’Isola, l’acqua realmente disponibile nei bacini (dalla capacità già ridotta dall’incuria per la grande presenza di sedime sui fondali) era poco pià della metà (154,23 milioni di mc), dovendo sottrarre, ad esempio, i volumi destinati alla sopravvivenza dell’ittiofauna, quelli di sicurezza dell’invaso e quelli destinati ad un’accelerata evaporazione; nel dettaglio, in 11 dei 29 grandi serbatoi siciliani, il volume utilizzabile oscillava tra 0 ed 1 milione di metri cubi, mentre in altri cinque era tra 1 e 2 milioni.

Situazione molto critica nel lago di Pozzillo, in provincia di Enna, ma non è più rosea la condizione delle acque sotterranee, soprattutto nella Sicilia orientale: alle pendici dell’Etna l’abbassamento della falda è stimabile in 20 metri (fonte: Sidra); nel Catanese, abbassamenti altrettanto significativi si registrano anche nel Calatino.

La falda di Fiumefreddo, da cui dipende l’approvvigionamento idrico del 70% della città di Messina, si è abbassata di almeno 15 metri ed il livello si è pericolosamente avvicinato a quello, sotto il quale non si può più prelevare.
“Quanto si sta registrando in Sicilia, ma che progressivamente sta risalendo dal Meridione all’Italia centrale – afferma il presidente Anbi, Francesco Vincenzi, di fronte ai dati diffusi dall’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche – ha caratteristiche peggiori delle scorse grandi siccità del Nord, ma sta incontrando una minore attenzione dell’opinione pubblica: mai era successo di dover abbattere capi animali per l’impossibilità di alimentarli e dissetarli. Purtroppo ci stiamo assuefacendo alla cultura del disastro”.

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