La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal ministero dell’Interno, confermando il ritorno alla dicitura “genitori” sulla carta d’identità elettronica dei minori, in sostituzione dei termini “padre” e “madre”. Una decisione orientata a far prevalere il principio di non discriminazione e a riconoscere la pluralità dei modelli familiari oggi esistenti in Italia.
Il ricorso del Viminale era stato presentato contro una sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva disapplicato il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019. Quel decreto aveva imposto l’uso esclusivo delle parole “padre” e “madre” nei documenti di identità dei minori, escludendo quindi la possibilità di indicare due figure genitoriali dello stesso sesso.
Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, le sezioni unite civili della Cassazione hanno stabilito che tale scelta normativa è “discriminatoria e irragionevole”, poiché non rappresenta le coppie dello stesso sesso che hanno fatto ricorso all’adozione in casi particolari, come la stepchild adoption.
Il caso alla base della pronuncia riguarda una bambina con due madri — una biologica e una adottiva — la cui famiglia aveva chiesto che il documento di identità riportasse il termine neutro “genitori”. Il Tribunale di Roma aveva già dato ragione alla coppia, sottolineando che la carta d’identità, valida anche per l’espatrio, doveva riflettere fedelmente lo stato civile del minore, garantendo il diritto del bambino a essere rappresentato in modo coerente con la sua situazione familiare.
I giudici di piazzale Clodio avevano evidenziato come il modello predisposto dal Viminale non garantisse una rappresentazione inclusiva di tutte le legittime configurazioni familiari. Di fatto, il decreto del 2019 stabiliva che una delle due madri venisse identificata come “padre”, una previsione che — secondo la Cassazione — “non è consona al genere della persona e viola il principio di uguaglianza”.