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martedì, Febbraio 11, 2025
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Sbirciare le chat WhatsApp del partner senza consenso è reato: la sentenza della Cassazione

Sbirciare le chat WhatsApp di un partner o ex partner senza il suo consenso è un reato, anche se il codice Pin del telefono era stato precedentemente comunicato. E’ quanto ha stabilito la Cassazione lo scorso 27 gennaio, come riferisce il Messaggero, mettendo così in luce un aspetto cruciale della privacy digitale e di coppia.

La sentenza ha confermato la condanna di un uomo che, in un contesto di causa civile, aveva prodotto delle conversazioni tra la sua ex moglie e il suo datore di lavoro, chat ottenute in modo illecito dal telefono della donna.

L’imputato aveva giustificato il suo gesto spiegando che, durante la pandemia da Covid-19, alcune delle informazioni contenute nelle conversazioni erano vitali per tutelare la salute del figlio. Inoltre, l’uomo aveva argomentato di non aver violato alcun sistema informatico, visto che conosceva la password del telefono, comunicatagli tempo prima durante la convivenza. Non solo, secondo la sua versione, il dispositivo era stato lasciato incustodito dalla moglie, con la schermata delle chat aperta, e lui non avrebbe dovuto fare altro che leggerle.

La Cassazione, tuttavia, non ha accolto questa difesa, stabilendo che l’accesso alle conversazioni senza il consenso del titolare del dispositivo è un atto illecito. Secondo i magistrati, “non rileva la circostanza che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state comunicate all’autore del reato in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo”. Questo implica che, sebbene la password fosse stata condivisa in passato, l’utilizzo delle credenziali per accedere a dati sensibili senza il permesso del proprietario è un reato. In altre parole, anche se una persona aveva avuto accesso al telefono in precedenza, non può ripetere l’operazione senza un’esplicita nuova autorizzazione.

La sentenza chiarisce che questa regola vale anche per le coppie conviventi, dove la presenza di un Pin o di una password sul dispositivo implica una volontà di riservatezza. I giudici, infatti, – come scrive il Messaggero – considerano le chat di WhatsApp come corrispondenza privata, tutelata dalla legge contro la violazione della privacy. Nel caso specifico, l’utilizzo delle chat sottratte al fine di presentarle in un giudizio ha aggravato ulteriormente la condotta, rendendo il reato più grave.

In sintesi, anche se le informazioni potrebbero sembrare rilevanti per una causa legale, come nel caso di un tradimento, guadagni effettivi di un ex coniuge o informazioni per decidere sull’affidamento di figli, la legge non consente di utilizzare dati ottenuti in modo illecito. Le chat, gli sms e le email, infatti, sono considerati dati privati e l’uso non autorizzato di queste informazioni è punito severamente, indipendentemente dalle ragioni che motivano l’accesso.

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