In questo tempo di crisi generalizzata, la nostra riviera appare un’isola felice perché c’è sempre il modo di provare emozioni per tutti i gusti e senza discriminazioni di alcun genere, grazie alle modalità espressive delle feste popolari, innestate nella tradizione ma con forte tendenza consumista ed idolatrica, come “il carnevale”, “la primavera”, “le notti bianche” “le sagre paesane”. Certamente non si mette in discussione la genialità e la capacità organizzativa per la creazione di eventi che attraggano le masse e suscitino un giro economico, se pur transitorio ed inefficace, ma si vuole centrare l’attenzione sulla necessità e l’opportunità di offrire l’occasione sempre più appetitosa di non pensare ai problemi di ogni giorno.
Per qualche aspetto sarebbe anche giusto un momento di distrazione e di svago, ma l’offerta di alienazione è pressante e non convince neanche un po’ la motivazione sociale di aggregazione o culturale di valorizzazione dei beni locali. Si tratta, piuttosto, di manifestazioni orientate a soddisfare la “pancia” dei cittadini per un tempo limitato e breve, tenendo la mente occupata a riempirsi gli occhi, a sentire musica assordante, ad assaggiare delizie casarecce, a cercare passatempi divertenti. Tutto questo comporta l’espressione di emozioni leggere e la soddisfazione di desideri superficiali, lasciando amarezze ed illusioni nel “profondo”, perché si resta confusi, piuttosto svuotati e pure tristi per la mancanza di un cambiamento reale della propria condizione esistenziale.
Diventa inutile la varietà e l’abbondanza delle stesse proposte esteriori senza rispettare i veri bisogni della gente, in cerca di aiuto per problematiche lavorative, per la precarietà dei rapporti familiari e sociali, per l’assistenza socio-sanitaria, per il degrado ambientale, per la carenza di etica professionale e politica, per l’incertezza del futuro e la paura della malattia, della solitudine, dei “migranti” e dei “devianti”.
In questa situazione sembra che le feste, pur attese e frequentate, siano un vantaggio apparente e procurino all’opposto fastidi e disagi, distogliendo la gente dall’esigenza di osservare con serenità i propri sentimenti religiosi, di riflettere sulle difficoltà quotidiane in modo operativo e di creare forme di cooperazione solidale per le urgenze emergenti. La riviera jonica porta in sé beni sostanziali e patrimoni inestimabili di natura, cultura, arte e religione che potrebbero garantire uno sviluppo notevole sul piano economico, sociale e spirituale tale da vivere il nostro tempo con speranza e fiducia, al di fuori della crisi opprimente e del malessere diffuso.
Purtroppo si distingue un tipo di amministrazione ordinaria, incurante della qualità della vita nel territorio jonico, schiacciata sul presente e sulla conservazione del consenso, mantenendo sempre lo status quo, forse inseguendo modelli inadeguati e fuorvianti, mirando al successo personale, alimentando la competizione e la divisione, coltivando la “pancia” e la popolarità a tutti i costi e a discapito del bene comune. In contrapposizione occorrerebbe impegnarsi con armonia nella via della consapevolezza, della responsabilità e della collaborazione a servizio della cittadinanza senza tante parole e promesse ma con i fatti ed i comportamenti.