Consapevole che non siete in apprensione per conoscere il mio pensiero sui fatti parigini del 7 gennaio scorso. Cercherò come altre volte di presentare e magari commentare alcuni interventi di amici che bene hanno inquadrato il tema del terrorismo, del fondamentalismo islamico, ma soprattutto della libertà di stampa collegata alla libertà religiosa. Certamente dopo la mattanza di quasi l’intera redazione del giornale satirico “Charlie. Hebdo” ad opera dei due fratelli jihadisti islamisti e delle successive stragi sempre a Parigi, non bisogna buttarsi a testa bassa in una campagna contro l’Islam e il miliardo e più di musulmani. Occorre prudenza, equilibrio e soprattutto discernimento. Bisogna capire quello che succede. “Combattere il terrorismo non è mai stata impresa semplice, – scrive l’ex sottosegretario agli interni Alfredo Mantovano, oggi magistrato – ma oggi le aggressioni dell’ISIS, di Al Qaeda e di chi raccoglie il loro invito a spargere terrore in Occidente esigono livelli superiori di attenzione e di azione. Esigono la volontà di investire più che di lanciare appelli verbosi o di produrre mielosa solidarietà: investire non in chiacchiere, ma in denaro, in uomini, in intelligenza e in coraggio”. (A. Mantovano, Come affrontare l’emergenza dopo Parigi, 10.1.15, LaNuovaBQ.it). Del resto non è una novità che i terroristi agiscono da soli o con pochissimi complici, ricordo l’uccisione di Theo Van Gogh, regista olandese “colpevole” di aver filmato un corto sulla donna nelle società islamiche, fu ucciso nel novembre 2004 da Mohammed Bouyeri, un giovane solitario che fino a un paio d’anni prima conduceva una vita tranquilla. E poi anche qui i fratelli Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, responsabili della strage della maratona di Boston nell’aprile 2013, erano stati segnalati alla polizia del luogo, ma invano. Mentre era da solo il libico Mohammed Game, che il 12 ottobre 2009 faceva esplodere una bomba all’ingresso della caserma S. Barbara di Milano, ma i suoi scritti erano ben noti nella rete.
Ebbene, capire è quello che ci invita il professore Massimo Introvigne, sociologo ed esperto di terrorismo e di fondamentalismo islamista. Secondo il sociologo torinese, i terroristi di Parigi anche se hanno agito da soli, non erano certamente “cani sciolti”, avevano contatti reali con la Siria e lo Yemen, e forse con al-Qa’ida e l’Isis. “Queste organizzazioni sono entrate da tempo in una fase nuova nella storia del terrorismo ultra-fondamentalismo islamico, – scrive Introvigne – che ha come prima priorità quella di creare «emirati» (al-Qa’ida) o un grande «califfato» medio-orientale (l’Isis) che funzionino come veri e propri Stati – s’intende, non riconosciuti da nessuno – i quali battono moneta, hanno una polizia, scuole, tribunali e offrono al mondo l’esempio di aree completamente islamizzate secondo i dettami del fondamentalismo più radicale. Per costituire e difendere questi pseudo-Stati c’è bisogno di molti combattenti. Non bastano quelli reclutati in Medio Oriente. Occorre trovarne tra i musulmani di tutto il mondo, e oggi molti musulmani vivono in Occidente. Per reclutarli serve la propaganda”. (M. Introvigne, Capire Parigi, senza essere Charlie, 12.1.15, LaNuovaBQ.it)
Dunque i terroristi con la strage al giornale satirico di Parigi hanno voluto fare un attentato spettacolare che servisse come propaganda per infiammare l’immaginazione di giovani musulmani occidentali per spingerli ad arruolarsi al nascente Stato islamico tra la Siria e l’Iraq. Lo aveva spiegato bene in un messaggio Zawahiri, il leader di Al-Qa’ida, ma forse nessuno l’aveva notato. “Pensando a quale spot per l’arruolamento avrebbe potuto essere più efficace, – scrive Introvigne – il terrorismo ha trovato Charlie Hebdo, ideale per un gesto propagandistico popolare perché conosciuto e detestato da tanti musulmani. Ma avrebbe potuto trovare tanti altri obiettivi. “Non dobbiamo dunque cadere nella facile trappola che ci farebbe derubricare come «eccesso di legittima difesa» da parte dei musulmani gli accadimenti di Parigi, così come altri passati che presero a pretesto le «vignette danesi», un film americano e persino il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Per il terrorismo ultra-fondamentalista islamico queste «provocazioni» sono sempre pretesti, elementi sfruttati in chiave propagandistica per creare attentati funzionali allo scopo di reclutare nuovi terroristi alzando una bandiera. Dunque nessuna «comprensione» per gli attentatori. Non sono giustizieri, sono terroristi criminali”.
Chiarito questo, occorre dedicarsi alla questione libertà di stampa e quindi a quello che rappresenta il giornale satirico Charlie Hebdo. Scrivo subito, come hanno fatto e continuano a fare in tanti: “non sono Charlie”.
Naturalmente per i cristiani è obbligatoria la pietà e la preghiera per i morti, chiunque essi siano. “Pietà e preghiera non significano però approvazione incondizionata di tutto quanto i morti hanno fatto in vita, che nel caso dei vignettisti di Charlie Hebdo comprende disgustose vignette pornografiche sulla Trinità e sulla Madonna. Si ha tutto il diritto di dissentire, senza essere immediatamente accusati di essere alleati di al-Qa’ida, da Giuliano Ferrara che ha descritto i vignettisti di Charlie Hebdo come «splendidi, spavaldi, eroici» (Il Foglio, 9-1-2015), e da Camillo Langone che sullo stesso giornale li ha definiti «martiri», dimenticando – eppure lo conosce – il detto di sant’Agostino secondo cui «martyres non facit poena sed causa», non è il modo in cui ti ammazzano che ti fa diventare martire, ma la causa per cui sei morto. Volendo cercare dei martiri, li si troverà più facilmente tra i duemila uccisi da Boko Haram lo stesso giorno in Nigeria. Capisco bene il discorso simbolico sull’attacco a Parigi cuore dell’Europa: ma resta che duemila morti in Nigeria hanno trovato spazio infinitamente minore di sedici in Francia”. (Ibidem)
Prima di chiudere, almeno per ora, voglio precisare, che la libertà di stampa di cui tutti si riempiono la bocca, certamente fa parte delle libertà fondamentali, ma non è assoluta. Diversamente, scrive il professore Introvigne, “dovrebbe essere lecito anche ripubblicare le caricature naziste contro gli ebrei”. Infatti quelle caricature, in parte, contribuirono a “preparare” il terreno per le leggi antisemite e le deportazioni degli ebrei nella Germania nazista.
Tuttavia occorre trovare un punto di equilibrio fra libertà d’espressione e libertà religiosa, che comprende il diritto delle persone e delle comunità religiose a non essere offese. Non bisogna mai fare andare il pendolo troppo da una parte o dall’altra. Dunque non possiamo accettare come espressione “artistica”, le vignette blasfeme di Charlie Hebdo, ma neanche l’intolleranza islamica che considera qualunque rappresentazione critica come islamofobia e ne chiedono la repressione penale, come stanno facendo con la richiesta di pena di morte per Asia Bibi in Pakistan.