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lunedì, Novembre 25, 2024
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Le provocazioni di un libro possono cambiare la scuola?

Come ho scritto in precedenza il testo della professoressa Paolo Mastrocola, “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, (Ugo Guanda 2011), è certamente una forma di provocazione fortemente cercata dalla scrittrice. Peraltro la Mastrocola è anche consapevole che molti suoi colleghi, ma soprattutto i vari pensatori, scrittori di cose scolastiche, e magari i cosiddetti “saggi” del ministero, non condividono la sua opinione. La Mastrocola fa tre nomi, Raffaele Simone, Francesco Antonucci e Alessandro Baricco, che hanno scritto libri dove sponsorizzano un futuro meraviglioso per la scuola e per l’intera società .

 Sostanzialmente cosa dicono questi pensatori: “il mondo è cambiato e cambierà sempre di più, e così serviranno sempre di meno, le parole. Grazie al Progresso, ai giovani non servirà più studiare, parlare, scrivere, leggere. Altro che poesie di Petrarca, Torquato Tasso e latino! Ci serve un’altra scuola, nuova, diversa moderna, al passo coi tempi”. Secondo questi signori, la scuola è vecchia, perché si basa sui soliti e tradizionali modi di apprendimento. In pratica si basa sullo studio. Invece occorre imparare “facendo e non studiando”. Niente più studio sui libri, lezioni frontali, compiti in classe, interrogazioni, correzioni di compiti. Pertanto se i giovani non sanno più parlare è perché “il mondo si sta avviando verso un’era afasica dove il linguaggio non sarà più verbale; e se non studiano più, è solo perché sanno apprendere in altri modi, più sensoriali ed esperienziali: non hanno bisogno di leggere libri né di trattenerli nella mente, perché adesso imparano vedendo, toccando, vivendo”.

La Mastrocola, rischia di passare per politicamente scorretta, come quando sostiene che i mass media, la televisione in particolare, hanno diseducato. Critica il concetto dell’intervento a tutti i costi, quando tutti devono parlare ed esprimere la propria opinione. Nessuno si chiede se quel che sta per dire abbia un senso o una sua ragione per essere detto”. Con questo modo di fare non si comprende chi è competente e chi ha autorevolezza.

Se poi questo ragionamento, lo spostiamo sulla scuola, possiamo vedere come oltre all’autorevolezza si è persa anche la soggezione, abbiamo pensato che fosse un male, “così abbiamo abbassato persone, luoghi e oggetti. I superiori sono diventati nostri pari, e così ci siamo adoperati perché certi luoghi perdessero la loro connaturata sacralità”. Così a scuola, per esempio, siamo scesi dalla cattedra, a dare del tu agli allievi e a mettere i banchi in cerchio, in modo che non ci fosse un superiore e degli inferiori. Addirittura qualcuno degli esperti futuristi affermano che quanto prima non ci sarà più la cattedra e neanche la classe, tutti navigheranno liberi nello spazio.

La prof di Torino non ha paura di schierarsi, lo fa senza moderazione, in particolare, critica il cosiddetto donmilanismo e il Rodarismo, presente nella scuola italiana. In particolare difende il concetto di nozionismo, che invece cercavano di demonizzare un gruppetto di maestre elementari di Napoli incontrate in un convegno.

 “Non è un peccato avere nozioni, anzi dovrebbe essere necessario per qualsiasi mestiere, anche per l’insegnante. La scuola dovrebbe insegnare nozioni: dovrebbe condurre alla conoscenza, a che altro se no?”

Purtroppo la parola nozionismo, è stata travolta da una valanga che si chiamò Sessantotto e che la sotterrò per sempre, riservandole solo odio e disprezzo. Ancora oggi – scrive la Mastrocola – , nozionismo, è una parola brutta, infame, vergognosa”. 

I libri di don Milani e Gianni Rodari, per molti insegnanti, sono diventati come delle bibbie da seguire ciecamente. “Ne è nato una specie di grosso pensiero collettivo identitario comune, un pensiero in cui un folto gruppo di persone politicamente affini si è alla fine totalmente riconosciuto”. Sostanzialmente le teorie espresse dai due autori in Lettera a una professoressa, del 1967 e ne La Grammatica della fantasia del 1973, hanno preso piede in quasi tutte le scuole.

Innanzitutto per la Mastrocola, è tutto da dimostrare che don Milani voleva una scuola senza nozioni. “Nelle sue classi si studiava eccome”. Don Milani, “semplicemente voleva una scuola che non escludesse dall’istruzione i ragazzi meno fortunati, quelli che per origini famigliari non possedevano gli strumenti per farcela. Giustissimo. Fu una grande scuola, la sua. Che forse poteva fare solo lui in quel modo”. In ogni modo, il libro di don Milani viene subito sposato dalla “protesta studentesca e l’ideologia comunista e cattolica di tanti insegnanti, contrari all’idea di selezione e di nozionismo fine a se stesso. Si è pensato di “abbattere la scuola severa e classista di stampo gentiliano, – scrive Mastrocola – ingiustamente riservata ai soli figli di papà e destinata a formare le classi dirigenti del futuro”. Ma abolire l’Eneide, i classici, la grammatica, il latino, “significa, lasciare le persone come sono”. Così inevitabilmente la cultura si abbassa,è “quello che è stato fatto in questi anni dopo il sessantotto, così invece di aiutare i più deboli, li hanno penalizzati, affossati ancora di più. Dunque per la Mastrocola è stata fatta, “una vera e propria, distruzione programmatica e scientifica di ogni contenuto culturale che priva per sempre di cultura proprio le classi basse, le quali invece avrebbero avuto bisogno proprio di una cultura alta”.

In nome dell’antinozionismo “democratico”, si pensava che non facendo più grammatica e letteratura, si proteggesse le classi deboli, invece così li abbiamo condannati per sempre a restare deboli. “Non abbiamo pensato che proprio a quei ragazzi era bene insegnare l’ Iliade del Monti, il latino e il greco, onde dar loro l’opportunità di scegliere se restare montanari o diventare professori a Oxford?”

Per la professoressa torinese, questo forse è il delitto più grave commesso dai cinquantenni o sessantenni di oggi. E i ragazzi, per questo, dovrebbero ribellarsi, altro che mancanza di soldi alla scuola pubblica.

La Mastrocola strapazza anche l’altro mito della scuola democratica, Gianni Rodari, che con la “Grammatica della fantasia”, auspicava una scuola della fantasia dove, attraverso le parole e il loro libero gioco, i bambini arrivino a scrivere, a produrre in proprio filastrocche, favole, poesie, racconti”

Così per Rodari, la scuola doveva smettere di fare cose noiose tipo la grammatica, per mettersi invece a educare alla libera facoltà creatrice”. In pratica vale anche per Rodari quello che abbiamo scritto per don Milani. Solo lui “ poteva fare scuola ‘alla Rodari”

E così tutti gioiosamente, nella scuola elementare, hanno pensato che fare grammatica fosse un male. “Abbiamo dato inizio alla ‘scuola del gioco’; la scuola è gioco. Il messaggio, è stato che, se non si gioca, non va bene e che tutto ciò che non è divertente è da buttare”. Forse abbiamo sostituito il verbo giocare col verbo studiare.

Tra l’altro, c’è un libro di Rodari, Le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica”, dove si critica la pedagogia linguistica tradizionale, un preciso atto di accusa nei confronti della scuola tradizionale, incolpata di insegnare i verbi, l’ortografia, l’analisi logica e la sintassi, per di più ‘ai più dotati’. Tradotto significa: la scuola tradizionale è verbalistica, mentre la nuova scienza pedagogica, può far imparare l’ortografia in modo indiretto e non verbale, per esempio ballando, apparecchiando la tavola e allacciandosi le scarpe”.

Sostanzialmente la Mastrocola demolisce la cosiddetta scuola “democratica”, fatta di POF, di apprendimenti e non di insegnamenti, di tempo pieno il più possibile. In breve, una scuola che punta alla socializzazione e si alleggerisca dai contenuti culturali a cominciare dal latino.

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