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lunedì, Novembre 25, 2024
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Continua il viaggio contromano nel sud Italia tra storia e attualità

Marina Valensise nel suo “Il sole sorge a Sud”, Marsilio editori (Venezia 2012), si augura di “rompere il muro del silenzio”, che domina nella sua Calabria. Ma non è facile, anche se alcuni uomini delle istituzioni, che lavorano da anni sul territorio, intravedono qualche reazione tra la gente. Però non sembra pensarla così il magistrato Nicola Gratteri, da anni in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta e autore di libri di successo, ha decretato che “la ‘ndrangheta non finirà mai, durerà finchè dura l’umanità”, ma Gratteri, scrive la Valensise, “è un pessimista tragico, come può esserlo un greco di Gerace. E’ un sostanzialista convinto dell’irredimibilità del male che combatte. Un’idea opposta a quella di Giovanni Falcone, che invece era un creaturista(…)”. Pertanto per la giornalista de Il Foglio, Gratteri “è nutrito da un’antropologia negativa della Calabria e del calabrese, estendibile per lo più al meridionale”.

Certo visitando l’Aspromonte, “ultima Thule”, della penisola e del continente, ha ragione il magistrato calabrese. La Valensise ha percorso quelle strade in mezzo allo straordinario paesaggio delle tante fiumare, tra boschi e rocce. “Mai contrasto è apparso più stridente tra la natura splendida e apparentemente incontaminata del luogo, e la desolazione degli abitanti, circondati da criminali, estorsori, taglieggiatori, omicidi, sfruttatori, troppo a lungo difesi dal silenzio, protetti dalla cerchia di amici e parenti, che nei piccoli centri di mille abitanti bastano a conquistare la maggioranza ed eleggere un sindaco”. Su questo vasto territorio di ben 37 comuni, si potrebbe proporre un itinerario turistico, che potrebbe fare la gioia di tanti appassionati di trekking.

Il libro della Valensise con la sua attenta descrizione, ci fa penetrare nel territorio, attraverso strade più o meno tortuose, che da Locri, Bovalino, portano a San Luca, la città natale dello scrittore Corrado Alvaro.

La giornalista non si ferma a raccontare l’attualità, ma spesso fa riferimento al passato, alla Storia, ai grandi viaggiatori, per lo più inglesi e tedeschi, che hanno descritto in diari i loro strepitosi viaggi, come Edward Lear che s’inerpicò sull’Aspromonte con un cavallo per i bagagli, perlustrando il territorio da Motta San Giovanni a Bagaladi, da Condofuri a Bova, via San Luca, Polsi, fino ad arrivare a Gerace. Naturalmente non poteva non descrivere il fenomeno del santuario della Madonna di Polsi, con tutto il suo fascino, tra sacro e profano. “Era, e continua ad essere, un posto pazzesco”, scrive Valensise, qui si possono vedere pellegrini frammisti ad animali che avevano diritto ad entrare in chiesa.

Continuando il viaggio, il libro descrive e racconta la “Piana” di Gioia Tauro, con i suoi boschi di ulivi secolari e di agrumeti, dove è difficile intraprendere e scommettere sul futuro. La giornalista come per altri territori, elenca nomi e fatti che riguardano la zona, a cominciare dalle particolari tecniche intimidatorie di “controllo” del territorio delle varie cosche. Ma parla anche di imprenditori che nonostante le difficoltà riescono a resistere e a fare impresa, è la “fierezza di essere calabresi”, che lottano “a mani nude contro la malavita, per resistere all’illegalità fatta sistema”. Il libro si sofferma sull’”utopia del Quinto centro Siderurgico”, un “assurdo economico”, che negli anni settanta dopo la rivolta di Reggio per lo “scippo” del capoluogo, aveva illuso tanti calabresi. Infatti allora il ras cosentino del Psi Giacomo Mancini, stabilì che a Cosenza sarebbe andata l’Università, a Catanzaro la Regione e a Reggio il Quinto centro siderurgico. Per far posto all’industria furono espropriati 120 ettari di uliveti fertilissimi. Dopo il tramonto del centro siderurgico, nel 1995 decolla l’idea del porto per navi container, in pochi anni Gioia Tauro diventa il secondo porto per il trashipment del Mediterraneo dopo Valencia. Uno dei rari esempi di imprenditoria sana nel sud Italia. Ma i problemi restano ugualmente, pare che il porto sia rimasto un’immensa fortezza assediata, dalle varie cosche della ‘ndrangheta, che praticamente non permettono di far decollare e sviluppare la grande impresa.

Passando a l Nord-est della Calabria, si giunge in un’altra “Piana”, quella di Sant’Eufemia, anche qui tra mille difficoltà, si arriva a Lamezia, attraverso due strade: l’autostrada e la vecchia statale 18. Secondo gli inquirenti, nonostante l’apparente tregua, pare che su 72 mila abitanti del Comune, “gli organici alle cosche, sarebbero almeno tremila”. Valensise punta la sua attenzione su un piccolo centro, Soveria Mannelli , di 3500 abitanti su una terrazza di 800 metri di altitudine, a trenta chilometri da Lamezia, è un’isola sulla Sila piccola, in mezzo alle querce, ai larici, ai castagni. Soveria è il comune più informatizzato d’Italia, con la connessione Wi-Fi per l’intero abitato. Qui la mafia non c’è. Semplicemente non esiste”. E proprio qui è nata un’interessante impresa editoriale dei fratelli Rubbettino, un’azienda fondata dal padre Rosario, un libraio visionario. Un’impresa che dà lavoro a 80 persone e fattura 8 milioni di euro l’anno. Una specie di “Svizzera calata nel cuore della Sila”, in realtà la Rubbettino, forse è “un pezzo d’Europa immerso nel cuore della Calabria Citra, o Citeriore(…)”. Attenzione, quelli della casa editrice Rubettino non si sentono degli eroi, ma persone normalissime. Infatti, si schermisce Florindo Rubettino, “il problema qui al Sud non è l’eccellenza, ma il deficit cronico di ordinarietà, è la normalità come cultura diffusa”. Sarebbe interessante dilungarsi sulle opere pubblicate dalla casa editrice calabrese, qui sono usciti tutti i classici del liberalismo austriaco, mitteleuropeo, ostracizzato dall’egemonia della cultura di sinistra.

Ritornando alla questione criminalità, è molto interessante quello che scrive Enzo Ciconte, che ha studiato le mappe delle cosche fornite dalla Commissione antimafia, comparandole alle mappe storiche del brigantaggio, “sostiene che dove ci fu il brigantaggio, come nell’antico marchesato di Crotone, di cui facevano parte la Sila cosentina e la Sila catanzarese, la ‘ndrangheta non c’è. E viceversa, dove c’è la ‘ndrangheta, come nel reggino, il brigantaggio non ci fu o fu sporadico”.

Pertanto secondo la Valensise, sostenere “la filiazione tra brigantaggio e ‘ndrangheta non è solo luogo comune, ma un falso storico, accreditato spesso dagli stessi ‘ndranghetisti in cerca di blasone con cui nobilitare la rivolta contro lo stato e le classi dominanti”. Inoltre, concludendo, è importante riportare le parole di Florindo Rubbettino, il direttore credo dell’azienda, a proposito del fare impresa al Sud: “Noi cerchiamo di ragionare sul Sud in termini innovativi, senza piangersi addosso, senza costruirci da soli le gabbie mentali. Puntando sul piagnisteo, sul rivendicazionismo neoborbonico, sul Mezzogiorno vittima dello stato unitario che cerca sempre altrove le ragioni della sua debolezza, per meglio invocare il risarcimento, non si rende un buon servizio al Sud Italia. Si finisce per perpetuare quella dipendenza clientelare che è il principale ostacolo allo sviluppo autonomo del Mezzogiorno”.

La Valensise però precisa che la riscoperta e l’amore per le radici che si respira alla Rubbettino, tra l’altro anche nei piatti e nei vini dell’agriturismo di famiglia, non è solo orgoglio identitario, ma soprattutto “un volano per la crescita della competitività dell’impresa e del territorio”. Un’ulteriore nota finale, a proposito di case editrici, peccato che la Valensise non si è rivolta all’ottima “D’Ettoris editori”, fondata da Pino D’Ettoris, che opera a Crotone, anche qui si potevano trovare altre buone motivazioni per fare impresa al Sud.

Al prossimo appuntamento dobbiamo soffermarci sull’inverno della Basilicata e le Puglie, il “Nord” del Sud.

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