La storia, tragica, di una morte, ma anche la storia, bella e concreta, di cercare di morire bene. È questo il tema, impegnativo ma trattato con grande levità, de “Il diario di Mariapia – Una commedia neoplastica” di Fausto Paravidino, uno degli autori contemporanei più interessanti e più apprezzati da critica e pubblico (a Messina nella scorsa stagione è molto piaciuta “La malattia della famiglia M”), in scena nella Sala Laudamo dal 9 all’11 marzo. Paravidino è anche regista e interprete, insieme con Iris Fusetti e Monica Samassa. Scene di Laura Benzi, costumi di Sandra Cardini, produzione Teatro regionale alessandrino. Lo spettacolo fa parte del cartellone “Paradosso sull’autore” curato da Dario Tomasello. La storia sostiene l’autore – nel bene e nel male, è quella dei più. Una famiglia normale. Una donna che non vorrebbe morire, ma che non potendo fare altrimenti cerca di farlo meglio che può. E non è facile, ed è sufficiente ad un dramma. Il contesto, per contro, non è drammatico. Nessuno dei personaggi toccati dalla tragedia aggrotta le ciglia, la tragedia non lascia posto al formalismo, è quel che è, si ride e si piange, la vita continua anche quando sta per finire. Racconta Paravidino: “Maria Pia, mia madre, medico – già malata da tempo – nel 2006 da un giorno all’altro perde l’autosufficienza e viene ricoverata all’ospedale di Ovada (AL) per non uscirne più. Malata di cancro, Maria Pia è da un po’ che si prepara a morire per cercare di finire la sua vita bene come ha sempre cercato di trascorrerla, ma in ospedale qualcosa non va per il verso giusto. La morte si presenta preceduta da una spossatezza imprevista e da una sensazione di vuoto completamente inedita per Maria Pia. Maria Pia si deprime. La depressione è l’unica cosa peggiore del cancro, e ci siamo dentro tutti. Poi, su spunto della sua oncologa, Maria Pia torna ad essere medico, trova una spinta vitale e insieme cominciamo a scrivere un diario”. E aggiunge: “Da allora ho sempre cercato il modo di tradurre questa materia in qualcosa di fruibile agli altri. L’occasione arriva con una richiesta dell’istituto Italiano di Cultura a Stoccolma per una rappresentazione al Dramaten, il teatro di Bergman, regista caro a mia madre che mi aveva allevato nella contemplazione delle sofferenze di Liv Ullmann prima di mostrarmi le sue. Così ho scritto questa commedia per tre attori che interpretano più personaggi. Finalmente c’è un gioco teatrale che interagisce con la rappresentazione oscena del nulla e del biografismo. Quello che cerchiamo di portare in scena è una festa del teatro e una sfida alla recitazione. La pièce comincia con uno spettacolo di Shakespeare, la festa del teatro per eccellenza, continua con dei virtuosismi, cambi di stile, passaggi di luogo, due attori che fanno una pletora infinita di personaggi, poi a mano a mano che la protagonista perde le sue facoltà, la cosa diventa più semplice fino ad arrivare a qualcosa di molto vicino al nulla, ma che invece è pieno di qualcosa. Trovare quel pieno, senza trucchi, è un esercizio teatrale difficile, è una grossa scommessa, è il senso della cosa”.