SAVOCA – Alla ricerca delle origini della fortezza – castello dei Pentefur a Savoca con gli scavi iniziati dalla Soprintendenza ai beni culturali. Intanto esce un libro in cui il prof. Angelo Cascio pubblica alcuni manoscritti inediti del trecento che rivelano alcune curiosità su questa fortezza, oggi ridotta a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti delle mura merlate, nei resti della torre trapezoidale, che fu a due elevazioni su un’area di 350 mq, ed in alcune cisterne. Il Castello sorge sull’omonimo colle, edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. Risale, con molta probabilità, all’epoca tardo-romana o bizantina, secondo la tradizione venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur. Venne riedificato dagli arabi e ampliato dai Normanni che ne fecero la residenza estiva dell’Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. Posto sotto tutela dell’assessorato regionale ai Beni culturali, sono stati avviati i lavori di recupero della fortificazione, con una campagna di scavi stratigrafici che hanno consentito, oltre al riportare alla luce i muri esistenti dei vari piani procedendo ordinatamente dagli strati più recenti ai più antichi, anche l’importante rinvenimento di reperti, che saranno opportunamente catalogati e conservati per una fruizione futura. In tale contesto arriva un instant book del settantenne Angelo Cascio, appassionato studioso di storia locale, il quale pubblica alcuni documenti inediti sul castello di Savoca, antipasto di una prossima pubblicazione della Storia del Castello di Savoca. Cascio, “per fugare – dice – alcune inesattezze divulgate da storici improvvisati”, trascrive i manoscritto dal latino e traduce in italiano alcuni documenti del suo archivio personale. In uno risalente al 21 settembre 1396 si scopre che anche a quell’epoca c’erano amministratori infedeli. Per cui Martino re degli Aragonesi e delle Sicilie, dal suo “palazzo regio di Messina”, sentite le lamentele sul comportamento di capitani e castellani di Savoca “che indebitamente e ingiustamente hanno messo le loro mani sulle cose di diritto del monastero” dispone che l’Archimandrita del Santo Salvatore di Messina assegni al castellano Tommaso per le sue incombenze di “castellania e guardiania” 60 once d’oro all’anno “e che non abbia a richiedere altro”. Ma che Tommaso restituisca all’archimandrita 260 once finite “indebitamente e ingiustamente” nelle sue tasche. Ma questo Tommaso perde il pelo ma non il vizio tanto che un anno dopo lo stesso re Martino lo solleva dall’incarico affidandolo a Federico Spadafora di Messiana. Che fine abbia fatto Tommaso, non si sa. Oggi, per fortuna, queste cose non succedono più.